Ascoltare in stereo, e curare le relazioni

“Vera comunicazione ha luogo soltanto fra persone di uguale sentimento, di uguale pensiero.”
Novalis

Sempre più, nei colloqui con i  miei clienti, si parla di relazione, e quanto difficile sia farsi capire: la difficoltà nel comunicare, e il senso di solitudine che ne deriva. Alcuni non se ne fanno capaci: dopo anni di matrimonio, o con i figli, carne della mia carne, a volte sembra che parliamo lingue diverse. Dottoressa, che posso fare?

Quando comunichiamo, e se non lo sappiamo non ce ne accorgiamo, comunichiamo sempre su due canali diversi, come se fosse una musica in stereo.  Uno è quello dei fatti, delle parole, l’altro è quello delle emozioni e della relazione. E più la relazione è stretta, più il secondo canale permea le parole e la definisce.

Facciamo un esempio, così è più facile.

Prendiamo Aldo che prende permesso al lavoro, e per fare una sorpresa ad Anna cucina una completa cenetta, con grande sforzo e dedizione. Anna si siede a tavola, e inizia a mangiare. Alla domanda, posta con trepidazione: “allora, com’era l’arrosto?” Anna dovrebbe dire che era secco e pure bruciacchiato, ma davanti al viso impaziente e raggiante di Aldo, risponde: “era buonissimo, il migliore che io abbia mai mangiato”. Il giorno dopo Anna va dal macellaio che ha venduto la carne ad Aldo, e il macellaio chiede: “allora, com’era l’arrosto?” e lei risponde:”troppo asciutto, praticamente immangiabile, ci serva meglio la prossima volta.”

Stessa domanda, ma che cosa cambia per avere una tale differenza di risposte? Cambia la relazione, e l’importanza e predominanza  che proporzionalmente assume il secondo canale, quello emotivo, affettivo e relazionale.

La domanda di Aldo in realtà voleva dire: “lo vedi quanto tengo a te? Apprezzi le ore, la cura, la fatica che ci ho messo per farti la sorpresa e farti felice?” Questo significava la sua domanda. L’arrosto non ci incastrava niente. Anna avrebbe dovuto, in teoria, per essere totalmente sincera, fare un distinguo, scindere e dire: “L’arrosto fa veramente schifo, però grazie! apprezzo l’amore che mi dimostra.” Credete che Aldo avrebbe apprezzato la franchezza? Molto semplicemente ne sarebbe stato devastato.

“Domani ho il volo. Ti spiace portarmi alla Malpensa alle 5?” Ad essere sinceri, scindendo, bisognerebbe rispondere: “piuttosto che alzarmi alle 4 preferirei un calcio nei denti, certo che mi spiace! ma siccome ti voglio bene, ti accompagno”. Ed invece ci si trova a rispondere: “Si, volentieri”. Volentieri un cavolo. Ma si privilegia la relazione anche qui, perchè se no l’altro si sentirebbe in colpa, in imbarazzo, chiederebbe a qualcun altro alle 11 di sera, e così via.

Altro esempio, ed è in questo frangente che di solito si fanno i danni peggiori.

Alfredo è stanco, e vuole andare a dormire presto. Alice  gli dice: “ecco, non vedi mai la televisione con me.” Alfredo si mette a fare l’elenco, iniziando dalla sera prima andando indietro nei secoli, di tutte le volte che è stato con lei sul divano a vedere Grey’s Anatomy e Super Quark.  

Litigano. Come mai? Alice era totalmente in onda sul canale emotivo, e da lì partiva il suo messaggio. Alfredo era rimasto sull’enunciato, sul fatto, e da lì dava la sua risposta. E più dettagliava, trafelato, più l’altra si imbestialiva. “Tu non mi capisci” “Non so più come spiegarmi, sei irragionevole”, è la risposta. Come se si stessero parlando due lingue diverse, uno il Kiswahili e l’altro l’Urdu. E in effetti è proprio così: e infatti non si capiscono.

Qui, a differenza delle domande degli esempi precedenti, bisogna rispondere distinguendo bene i due diversi livelli: ” Starei volentierissimo a seduto a vedere Montalbano con te, sai? ma vedi, sono stanchissimo e domani mi alzo molto presto.” Le due istanze, come vedete, sono coperte.

La prossima volta che con qualcuno vi sembra di parlare turco, provate a chiedervi: ma qual è il vero messaggio, cosa mi sta dicendo veramente? quale richiesta c’è dietro? insomma: su quale canale sta trasmettendo?

Un figlio scostante, che provoca, a volte con frasi e azioni scomposte: finché si continua a rimanere sui fatti (…con tutto quello che faccio per te, vai pure in Inghilterra quest’estate, il motorino nuovo…) e non ci si chiede che cosa veramente ci sia di relazionale ed emotivo dietro quelle frasi a volte offensive (accettazione, conferme, sei un campione, dimmi tutto, cosa c’è che non va, …) non se ne esce, e intanto cresce esponenzialmente la frustrazione.

Si continua ad urlare come dalla cima di due montagne, e il solco in mezzo diventa un abisso:  non ci si riconosce più, ci si allontana, e ad un certo punto si smette di provare. “…Tanto non mi capisce, nessuno mi capisce. Sono solo.” Mai come di questi tempi il senso di solitudine è profondo, e per assurdo non siamo mai stati così connessi.

So che non sempre si ha voglia di fare lo sforzo di ascoltare in stereo. Ma c’è una buona notizia: si può imparare, e più lo si fa, più ci si allena ad ascoltare con le orecchie in modalità doppio canale, più viene automatico sintonizzarsi contemporaneamente su entrambi, e il rispondere nel modo giusto e modulato viene gradualmente naturale e sempre più senza sforzo.

Perchè sono le relazioni che ci tengono vivi, che danno il senso e il ritmo della vita. E le relazioni si coltivano  con le parole, che possono essere come dei mattoni che costruiscono,  dei ponti che uniscono, o come delle lame che feriscono e tagliano.

Sta ad ognuno  ascoltare bene, e poi, come scelta consapevole, scegliere  il cosa dire, come, quando, e soprattutto il cosa non dire.

Vale la pena sforzarsi di uscire dalla comfort zone della risposta in automatico?

Bisogna tenere a mente che mai come oggi sono vere le parole di Zygmunt Bauman:

Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.”

Per cui, si, vale la pena.