Come scegliere le parole da non dire

“Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire.”

Alda Merini


Una cara amica mia, con la saggezza che a volte solo l’età e una vita piena regalano, mi disse un giorno che le parole fanno più male delle botte, perché i segni li lasciano sull’anima, e quelli il tempo non li guarisce mai. E soprattutto, siccome dall’esterno non si vedono, si è portati a sottovalutarne l’effetto.

Le parole sono pesanti sempre, e sempre lasciano un segno, nel bene e nel male. Soprattutto quando usiamo le parole per esprimere giudizi su di un altra persona. I giudizi che noi emettiamo partono sempre da una visione del mondo personale che si codifica in parole, e vanno a rapportarsi ad una mia scala di valori, mia e mia soltanto. Quanto deve essere corta una gonna perché la ragazza sia ritenuta scostumata? la misura varia secondo i propri gusti, la cultura di riferimento e, non da ultimo, l’epoca storica in cui si vive.

Esprimere giudizi è naturale e oserei dire automatico. Ci vengono richiesti, e possiamo valutare con cura le parole da dire. Oppure  ci scappano di bocca nei momenti di ira, concisi e ferali come frecce. Ieri al supermercato ho sentito una mamma spazientita dire al figlio: “sei un cretino!” Banale certo, era arrabbiata, dopo una giornata stressante ci mancava pure ‘sto disobbediente. La frase è stata breve, tre parole, un attimo di fiato, l’attimo dopo non c’era più: aveva tutti gli alibi, si poteva giustificare in mille modi.

Ma i latini saggi dicevano: est modus in rebus. Come sempre, il modo conta, a volte più che la sostanza.

Quella frase, espressa con il verbo “essere” all’indicativo presente, esprime certezza e realtà.  Dà un giudizio, e lo dà alla persona. Se io sono un cretino, lo sono oggi e lo sarò domani. Non c’è redenzione, non c’è riscatto. Soprattutto se me lo dice una persona di riferimento. E se detto spesso, finisco pure per crederci, e diventa una sentenza definitiva, un ergastolo senza appello. Una etichetta che mi identifica.

Vorrei qui darvi una buona notizia. C’è un modo per poter dare del cretino senza fare grossi danni, non disperate. Il trucco me lo insegnò mio padre, ero bambina, ma ne ho sempre fatto tesoro.

Invece di dire: sei un cretino, basta riformulare e dire: ti stai comportando come un cretino. Eccolo là, l’aggettivo incriminato, l’abbiamo detto, che soddisfazione!

Ma il giudizio non è più sulla persona, bensì sul comportamento, e il comportamento si può mutare, se si vuole.  Il mio comportamento non sono io.

Torniamo così al punto di partenza. Le parole sono degli strumenti. Le parole convogliano idee, emozioni, sentimenti. Le parole sono suoni. Quale tipo di musica noi produciamo, quali vibrazioni convogli, come viene recepita, che emozioni faccia nascere e con che conseguenze, dipende, come sempre, da noi.