Cronache di resistenza/3 Come salvarsi: la cura

” Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie.

Perchè sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.”

“La Cura” Franco Battiato

“Anni fa, uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale ritenesse fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra.

Ma non fu così.

Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito.

Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo.

Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.

Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi fino al pieno recupero.

Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto in cui la civiltà inizia.”

Come ha detto Margaret Mead, la civiltà inizia quando ci si prende cura l’uno dell’altro. Così come Fred Flinstone un giorno si è caricato Barney ferito sulle spalle, l’ha riportato alla caverna e per un bel po’ ha cacciato anche per lui, così dobbiamo fare noi, da oggi più che mai.

“Coronavirus, il primo studio di Harvard sull’Italia: Da emergenza sanitaria si passerà ad emergenza psicologica”, titola un articolo su un giornale di oggi.

Siamo stati i primi nel mondo occidentale, e già studiano le prime crepe nei comportamenti sociali portati dal malessere dilagante.

Per tenere sotto controllo le crepe, rimanere civili in questi momenti di grande crisi sociale e personale, ecco il mio consiglio di oggi: abbiate CURA.

Abbiate cura, mettete cura, nella relazione su tre ordini diversi ma intersecanti: con voi stessi, con chi è lontano, con chi vi sta al fianco in quarantena forzata.

Vogliatevi bene, trattatevi bene: mettete in quarantena il flagellamento continuo di pensieri negativi, apocalittici e/o auto-colpevolizzanti, o peggio ancora dionescampi vittimistici, che di solito formano l’ottanta per cento del ruminamento mentale. Pacca sulla spalla e moratoria sul tafazzismo, un po’ di amor proprio e riconoscimento che se si fa del proprio meglio si fa già il massimo.

Colmate le distanze con chi è lontano, soprattutto se sapete che è solo e fragile: quella telefonata che alla zia anziana non si aveva mai tempo di fare, ecco, facciamola. Telefoniamo all’amico e diciamogli ti ho pensato, come stai? Prendersi cura significa fare sentire la vicinanza con sollecitudine, con amore. Sentirsi amati è il primo baluardo all’abbassamento del sistema immunitario. Se ognuno di noi stende una rete di connessioni di cura e di amore, tutto il sistema nel complesso ne beneficerà.

E poi arriviamo alle dolenti note. Perchè è facile fare la telefonata alla zia Giuseppina ed essere tutti amorevoli e solleciti. Molto più difficile è essere gentili con qualcuno in coabitazione forzata da giorni, tanto più quando non se ne vede la fine.

E allora: a quella frase che ci gratta i nervi da sempre (ma perchè sei sempre così, o mettetecela voi a scelta) fare partire tutto l’ambaradan di faccia scocciata occhi al cielo tono sarcastico/condiscendente/stizzito, se non addirittura il vaffa, insomma tutto l’automatismo costruito e ben consolidato negli anni, rischia in questi giorni che verranno di innestare un’escalation simmetrica che porterà non solo le crepe, ma scaverà giorno dopo giorno i burroni.

E’ vitale cercare di non andare in pilota automatico, ma cercare di salvare un brandello di sanità mentale e di consapevolezza da inserire nel nano secondo che precede il vaffa o la tiritera vittimistica.

Bisogna avere la volontà immensa, ma erculea proprio, di tirare un bel fiato, e riuscire a dare una risposta diversa, che sia perlomeno meno aggressiva (e ricordate che anche il vittimismo è aggressivo). Questo servirà a disinnescare o almeno depotenziare il conflitto, che ben si sa parte dalle cose più stupide per arrivare alla bomba a neutroni. Adesso più che mai, che la tolleranza si fa sempre più sottile

Perchè prendersi cura qui non significa prendersi solo cura dell’altro, bensì prendersi cura della relazione, che se va a picco si va picco in tre. La relazione, e i due dentro. Anche tu.

A livello di sistema, iniziando da quello familiare per arrivare a quello sociale ci vuole che ognuno si prenda la sua parte di responsabilità.

Questo significa non solo guardarsi dall’infezione del virus mettendo in atto i comportamenti adeguati, ma significa anche attraverso i nostri comportamenti salvaguardare noi stessi e gli altri dagli effetti collaterali del virus, che alla lunga rischiano di lasciare, per molti, segni duraturi: l’ansia, lo straniamento, il senso di solitudine e l’angoscia.

Mettere in atto questo tipo di comportamento significa, giorno dopo giorno, aumentare la capacità di resilienza, nostra e di chi ci sta intorno per affrontare i momenti complicati che ci attendono.

Il vaccino ancora contro il virus non c’è , ma l’antidoto ai suoi danni collaterali quello c’è, ed è alla portata di tutti, oggi: si chiama gentilezza, si chiama amore, si chiama vicinanza, sollecitudine. Si chiama cura.

Dobbiamo, e dico dobbiamo, essere consapevoli che ne siamo tutti portatori sani e dunque dispensatori.

E poi agiamo di conseguenza.

Allora, forse, ne sarà valsa la pena.